Risultati della ricerca:
La disuguaglianza di genere riflette un problema ad ampio spettro in Italia ove si registrano bassi tassi occupazionali femminili uniti a riduzioni salariali. Basti pensare alle statistiche relative al periodo di pandemia e a quelle stilate successivamente, dove i tassi di occupazione femminile si sono ridotti del 4% solo nel 20201 mentre i salari sono diminuiti del 8.1 % (ASviS 2020). Secondo l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE, 2021), l’Italia detiene il punteggio più basso tra gli Stati membri sia in tema di funzioni di lavoro che nel sottodominio dell’adesione lavorativa.
È utile ricordare quali istituzioni son previste nel Codice nazionale delle pari opportunità tra uomo e donna (2006), tra le quali si annoverano il Dipartimento per le Pari Opportunità, la Consigliera Nazionale di Parità, i Comitati Unificati per la Garanzia delle Pari Opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (CUG) e la Rete delle consigliere di parità. A tal proposito, nel 2021 è stata redatta una Strategia nazionale per l’uguaglianza di genere (2021-26) che ha delineato i criteri fondamentali utili per guadagnare cinque punti nell’indice di uguaglianza di genere EIGE entro il 2026, e raggiungere una posizione migliore rispetto alla media europea.
La strategia individua cinque aree principali: lavoro, reddito, competenze, tempo e potere. Tuttavia, tra i tanti strumenti che possono contribuire alla parità di genere, la contrattazione nazionale riveste un ruolo sostanziale specialmente tra le piccole e microimprese. Nonostante il dibattito sia stato introdotto nelle contrattazioni sindacali, la sua rilevanza necessita di un maggior appoggio, e soprattutto di un criterio proattivo nell’inserimento della trattativa sulla parità di genere come materia di contrattazione effettiva e non solo di ‘’azione positiva’’.
In questo quadro, si inserisce lo studio condotto dal progetto Virage, un’indagine esplorativa sulla disuguaglianza di genere, condotta attraverso una metodologia qualitativa e quantitativa. Si tratta di un progetto svolto in diversi Paesi europei, avente come scopo quello di illustrare l’utilità integrativa delle relazioni industriali e del dialogo sociale nel processo di equità di genere. La ricerca è stata finanziata da DG Employment sotto il coordinamento di CEPS, ed ha compreso diversi casi studio in Belgio, Polanda, Svezia e Italia per ottenere una visione più esaustiva e trarne proposte e raccomandazioni per promuovere l’equità di genere. VIRAGE si pone l’obiettivo di incrementare la consapevolezza e facilitare lo scambio di informazioni attraverso la stesura di relazioni ricavate dai progetti, video promozionali, laboratori e i risultati delle ricerche.
La parità di genere viene inclusa tra gli obiettivi dei sindacati anche in termini di contrattazione collettiva, nello specifico per ciò che concerne i servizi di assistenza precoce per i bambini sul posto di lavoro o bonus in denaro per i lavoratori con figli piccoli. Viene lasciato spazio anche per le trattative in materia di lavoratori temporanei e precari (spesso giovani donne), di sicurezza sul lavoro e ambiente protetto per evitare molestie, pratiche discriminatorie informali e comportamenti sessisti.
Dagli incontri con i sindacalisti la lotta per l’uguaglianza di genere nella contrattazione collettiva appare decisiva in materia di riconoscimento del welfare aziendale alle coppie di fatto. In particolare, uno dei sindacati ritiene che per agevolare la presenza delle donne nel mercato del lavoro, dovrebbe essere consentita ai bambini la possibilità di frequentare la scuola a tempo pieno. Inoltre, uno dei sindacati ha ammesso una disposizione antidiscriminatoria che pone un limite rappresentativo di genere all’interno dei congressi.
Per quanto riguarda i datori di lavoro, le interviste hanno evidenziato alcune buone prassi ed un impegno nell’identificare una metodologia proattiva a favore dell’uguaglianza di genere.
- Ad esempio, Il Gruppo Ferrovie ha attivato un programma specifico sulla parità di genere attinente alla risoluzione dei limiti dell’organizzazione al raggiungimento dell’uguaglianza di genere con lo scopo di garantire pari opportunità e un migliore equilibrio tra vita privata e lavoro. Inoltre, sono previste agevolazioni sull’accesso alla formazione interna, e garanzie sulle questioni relative alla garanzia di neutralità rispetto ai cambiamenti di ruolo all’interno del gruppo. Un’ulteriore iniziativa ha previsto un piano per l’apertura e la gestione di asili nido all’interno di stazioni ferroviarie per far fronte all’emergenza Covid-199. In ultimo, per le procedure di assunzione, Ferrovie dello Stato adotta politiche antidiscriminatorie di genere nelle nomine per posizioni aperte.
Per quanto riguarda le agenzie governative, il tema maggiormente rilevante rimane la segregazione orizzontale e verticale nell’inserimento lavorativo ed il divario di cura tra i sessi. Quest’ultima dimensione, in particolare, conduce a conseguenze negative sulla percezione dell’equilibrio tra lavoro e vita privata e sul peso effettivo che riveste la donna in ambito domestico. Infatti, l’assunzione culturalmente errata, che la donna ricopra una posizione maggioritaria in ambito domestico influenza la possibilità di avviare politiche contrattuali egualitarie. Inoltre, l’impatto culturale fa sì che le donne siano portate ad “auto-segregarsi” e a ricercare mansioni che rientrano in ambiti domestici.
In questi termini, il Ministero del Lavoro assicura la raccolta di dati sulle differenze di genere sul posto di lavoro in aziende con dimensioni significative. In relazione al congedo di maternità, Il Ministero dell’Economia e delle Finanze riconosce un mese aggiuntivo di congedo retribuito rispetto ai congedi parentali, che di solito sono pagati al 35%, inoltre, una volta all’anno il Ministero dell’economia e delle Finanze concede circa 18 ore di permesso per motivi familiari o personali.
Workshop del Progetto Virage
Il 21 ottobre Apid Torino ha ospitato un laboratorio dedicato al progetto Virage nella quale sono stati esposti i risultati della ricerca e ne sono stati discussi gli impatti a livello aziendale e le possibili potenzialità future specialmente in relazione al dialogo sociale. Quest’ultimo svolge un ruolo chiave in termini di cambio di prospettiva, si ritiene infatti che, la capacità di instaurare un dialogo volto a sradicare prassi obsolete, come contratti temporanei e atipici, possa aprire a nuove realtà proficue per donne e giovani lavoratori.
Il workshop del progetto Virage ha visto emergere diverse tematiche comuni analizzate dai cinque gruppi, che sono state tuttavia affrontate con approcci e soluzioni differenti.
- Il primo gruppo si è focalizzato sul divario assistenziale e delle cure, dalla loro discussione è emerso come le dinamiche di “ruolo” nell’ambito famigliare e lavorativo siano al centro della disparità di opportunità specialmente in termini di carriera lavorativa. I principali fattori determinanti, sono rappresentati da mentalità aziendali poco progressiste, oppure da realtà aziendali piccole, pertanto impossibilitate a muoversi a riguardo. In questo quadro, la Pubblica Amministrazione riveste indubbiamente una parte fondamentale nel ridirezionale tale prassi, infatti, la mancanza di incentivi riduce la possibilità che si inneschi un cambiamento dal basso. Inoltre, viene introdotto il concetto della mentalità del padrone, ossia l’atto decisionale in ambito lavorativo, debba essere unilaterale e imposto dall’alto, quando scelte sbagliate possono avere un riscontro negativo in molteplici direzioni, che variano dalla salute alla possibilità di carriera. Le soluzioni da intraprendere devono essere dirette verso una collaborazione e un dialogo tra Pubblica Amministrazione, Università, aziende e organizzazioni sindacali. In questo senso azioni e sgravi fiscali a favore delle aziende, giocano un ruolo basilare, specialmente nelle imprese di piccole dimensioni. Parallelamente, l’attuazione di politiche welfare, la riduzione della burocrazia, e la promozione di materie STEM fin dall’infanzia, fornirebbero una base solida per sostenere l’eguaglianza di genere. In ultimo, Il dialogo tra Stato, sindacati, società e Istituzioni costituisce l’unico mezzo di recezione dei bisogni della popolazione, di conseguenza deve essere implementato.
- Il secondo gruppo ha affrontato il tema della segregazione, sottolineando come quest’ultima sia strettamente correlata alla possibilità di ottenere assistenza e cure, e ai rischi sulla salute fisica e psichica. I principali ostacoli afferiscono, nuovamente, ad aspetti culturali, quindi a una logica paternalista e pressoché maschilista del ruolo della donna nella nostra società. Questo aspetto è coadiuvato da una disinformazione, sottoforma anche di volontaria ignoranza, che risulta come mancanza di interesse maschile sulle tematiche legate alle pari opportunità o più in generale ai problemi che afferiscono la discriminazione di genere. Uno dei maggiori ostacoli al cambiamento riguarda il congedo parentale, che ha esacerbato l’aspetto culturale, rilegando alla donna l’onere di badare alla prole. Anche il secondo gruppo rivede tra gli attori di un possibile cambiamento, i medesimi elencati dal gruppo precedente, quindi Pubblica amministrazione, Università, organizzazioni sindacali, datori di lavoro e la società in generale, che agiscono in sinergia. A differenza del gruppo precedente aggiunge due punti cardine: il dialogo tra le parti appoggiato da un sistema di informazione esteso a tutte le parti, e la flessibilità da parte dei datori di lavoro che possa andare incontro alle esigenze delle donne.
- Il terzo gruppo si è occupato del divario occupazionale, elencando come principali cause il gap di cura, poi quello retributivo e in ultima la segregazione, mentre i rischi per la salute e la sicurezza rivestono un ruolo laterale, più consequenziale. Il gap di cura riveste un ruolo discriminante in termini di opportunità lavorative, questo aspetto viene declinato in due direzioni: in primis viene sicuramente assistito da un retaggio culturale legato alla società, in seconda istanza viene identificato anche un retaggio “di lavoro” che riguarda i vertici aziendali e i datori di lavoro. Il primo aspetto può essere risolto tramite la formazione obbligatoria, a partire dalle scuole di II livello, impartita dalle associazioni datoriali femminili e dai sindacati. Per quanto concerne il secondo aspetto, la soluzione presunta prevede formazione per le cariche ai vertici lavorativi, attraverso proposte di leggi per le imprese che, tuttavia, prevedano altresì ricadute positive per le aziende virtuose, di conseguenza incentivi come la certificazione di genere. Come seconda causa del gap occupazionale viene identificata la mancanza di pari opportunità dal punto di vista dello sviluppo professionale della lavoratrice. In questo caso vi sono differenti azioni, come ad esempio prevedere orari flessibili, quindi anche un part-time che non costituisca però un ostacolo alla carriera, una modalità agevolata per fruire di permessi e ferie, ma anche la possibilità di effettuare un percorso di reskilling post maternità. Gli agenti in questo caso possono nuovamente essere il governo e le aziende, prevendendo sempre incentivi per le aziende virtuose. Anche in questo caso, il dialogo sociale riveste un tema rilevante, in quanto istaurare un rapporto tra azienda e sindacati di natura propositiva e paritaria, determinerebbe un effetto a cascata positivo.
- Il quarto gruppo si è concentrato sul gap retributivo che, in base all’analisi svolta, discende dal gap occupazionale. Il gruppo ha evidenziato come le donne siano state un motore di crescita per lo Stato alimentato anche da un diverso e possibile equilibrio tra vita e carriera, che oggi sembra essersi perso. Tra gli ostacoli enumerati viene menzionato l’approccio attuale alla maternità come prassi limitante per la carriera delle donne, una possibile soluzione a riguardo viene trovata nell’istituzione del congedo paternale pari a quello maternale, nell’aumento degli sgravi fiscali per la cura dei figli che si tradurrebbero in un vantaggio nell’avanzamento di carriera aziendale, quindi un maggior investimento per le donne da parte delle aziende, e infine l’incremento di asili nido di prossimità, fattore fondamentale per permettere di mantenere un equilibrio tra lavoro e vita privata. Un altro elemento negativo nel quadro delle pari opportunità è costituito dalla mancanza di attività assistenziali per la vita e il lavoro, che hanno come conseguenza un obbligo per le donne a perseguire contratti part-time. Una soluzione a tale problema potrebbe essere implementare un servizio di comunità che funga d’appoggio esterno e da sgravio di tempo. Vengono proposte dal gruppo diverse soluzioni a livello istituzionale, come stanziare i fondi della legge di bilancio del 2021 a sostegno di processi di formazione interna nelle aziende dedicata all’aumento della professionalità delle donne. Un ulteriore proposta riguarda una riforma dell’età pensionistica che preveda un abbassamento dell’età pensionabile anche attraverso il conteggio degli anni spesi dalle donne connessi alla propria cultura. In conclusione, vengono posti come attori di cambiamento le associazioni datoriali e i sindacati, la pubblica amministrazione con aiuti strutturati per il welfare improntate sulle aziende e sui comuni, di conseguenza un maggior dialogo tra governo e aziende. In ultimo viene fatto un breve cenno alle quote rosa, che per quanto contengano delle criticità, sono utili per mantenere la parità di genere.
- Il quinto gruppo si è concentrato sul tema della salute e della sicurezza, aprendo un dibattito sull’importanza dell’impatto delle condizioni lavorative sulla propria salute. L’argomentazione estesa riporta come le molestie sul lavoro possano risultare in stress e condizioni mentali poco consone al mantenimento della propria salute, anche qui permane una base culturale difficile da sradicare, in quanto nel mondo lavorativo tali pratiche vengono spesso sottovalutate e sminuite. Viene anche sottolineato come non ci sia inclusività in tema di sicurezza sul lavoro in quanto si dà per scontato che i rischi e gli impatti sul fisico dell’uomo siano uguali che su quello della donna. Il gruppo ha inoltre introdotto il discorso dell’utilizzo di un linguaggio inclusivo; quindi, la possibilità di declinare il proprio titolo, come una delle possibili pratiche d’appoggio sia per la salute, in quanto valorizzerebbe la persona e quindi migliorerebbe l’approccio con l’ambiente lavorativo, sia in termini di parità di genere. Le possibili soluzioni proposte riguardano la formazione, che deve partire dai bambini, la formazione specifica sulle tematiche di genere da estendere alle carriere nei sindacati, la valorizzazione del pensiero in un’ottica di genere in quanto le questioni di genere sono universali.
Riveste grande rilevanza la mancata conoscenza dei partecipanti della Strategia Nazionale di Equità di Genere del 2021, nonostante ciò I partecipanti hanno avuto un grande interesse nella partecipazione nel workshop e hanno attivamente preso parte alle attività.
Tutti i gruppi hanno identificato nel gender care gap, la dimensione più urgente da affrontare per assicurare l’equità di genere nel luogo lavorativo. In media, la segregazione occupazionale e il divario occupazionale di genere rappresentano la seconda, e più importante, delle aree di intervento. Il divario retributivo invece, viene inquadrato come consequenziale, seguito dalla salute, dalla sicurezza e dai rischi che contribuiscono negativamente all’equità di genere, sono quindi descritti come problemi trasversali.
Tra gli ostacoli più importanti relativi alla riduzione dei gap esistenti e alle disuguaglianze lavorative, l’aspetto predominante risulta essere l’approccio culturale. In questo senso, l’approccio del “padrone” inteso come imposizione unilaterale da parte del datore di lavoro, così come le responsabilità di cura rilegate in maniera predominante attribuito alle donne, risultano essere tra le problematiche maggiori. Inoltre, viene menzionata la normalizzazione delle molestie all’interno delle organizzazioni.
Lo Stato può incentivare un potenziale cambiamento culturale, ma i fattori decisivi rimangono l’educazione e la formazione. La formazione dev’essere diretta principalmente a persone che rivestono ruoli rilevanti nel processo decisionale (la maggior parte sono uomini), sono stati altresì menzionati altri soggetti da formare nella prospettiva gender. I partecipanti hanno anche sottolineato l’importanza di educare i bambini ai valori come l’equità di genere, come investimento per il futuro in termini di inclusione. In ultimo, viene fatto cenno alla regolamentazione come fattore basico per realizzare l’equità di genere anche a lavoro.
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